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30/9/2021

IL BUCO [+++ IN AGGIORNAMENTO +++]

 

Ormai 16 mesi fa pubblicavo Mappare le nuvole, una riflessione/percorso in tre puntate (1, 2 e 3) sui primi mesi di pandemia. Le inquietudini e le certezze – o le non-certezze – di allora sono diverse da quelle di oggi, anche se molte cose, rilette adesso, sembrano spaventosamente simili. I vaccini hanno aperto una breccia di speranza che progressivamente sembra cicatrizzarsi per chiuderci ancora nel circolo dell’indeterminatezza.

   Ora come allora aleggia questo senso di provvisorietà che, penso, sarà il lascito più grande di questi due anni sul piano della psicologia collettiva. E le cui conseguenze personali, politiche e culturali misureremo nel decennio a venire.

   Per me era impossibile scrivere un Mappare le nuvole II La Vendetta, ampio e stratificato come il primo. Sto lavorando a un progetto molto complesso e manca il tempo materiale di occuparsi d’altro. E poi, forse, è scemata quella eccitazione della tragedia che tutti vivevamo nelle prime settimane Covid. Meglio così, in fin dei conti. Oggi io avrei meno voglia di scrivere un Mappare le nuvole, e probabilmente meno voglia avrebbero i lettori di leggerlo.

   Detto questo, ho pensato di dare spazio qui ad interventi che ho pubblicato altrove negli ultimi mesi. Sono riflessioni prive di legami fra di loro, che però tentano comunque di riempire un vuoto – il buco del titolo – che vuoto non è stato. E che meritava in ogni caso una qualche forma di racconto.

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La giostra (originariamente pubblicato il 10/3/2021)

L'atteggiamento delle grandi industrie farmaceutiche sulla questione vaccini fa vomitare. Forniture che c'erano, oggi scompaiono. Meno prodotto sul mercato, aumentare i prezzi, deviare il prodotto verso chi te lo paga di più.

   Qualche settimana fa, in televisione, sentivo un imbecille asserire che le case farmaceutiche devono ricavare un legittimo profitto dai vaccini e che non esiste una via alternativa.

   Falso. Di fronte a una situazione di salute pubblica mondiale, si poteva stabilire che qualsiasi vaccino ottenuto sarebbe stato privo di brevetto. Si poteva creare una partnership internazionale fra aziende private e attori pubblici. Si poteva dirigerla attraverso l'OMS, trovando un senso a questa organizzazione oggi inutile. Si potevano mettere in rete e condividere i risultati delle varie ricerche per velocizzare i tempi e ottenere prodotti migliori, senza che il segreto industriale e la competizione fra decine di vaccini concorrenti rallentassero tutto.

   Si poteva dire: ci interessa di più salvare delle vite, piuttosto che guadagnare.

   È stata una scelta. Produzione privata e profitti non erano l'unica strada percorribile, un evento ineluttabile, come i terremoti o le piogge.

   È sempre una scelta.

   Potevamo dimostrarci evoluti come specie e mettere per una volta nel giusto ordine il valore delle cose. Ma abbiamo fallito e continueremo a farlo. Questi ritardi costano oggi migliaia di vite in tutto il mondo.

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There’s an App for that (originariamente pubblicato il 5/9/2021)

Negli ultimi quindici anni, il lascito più rilevante del capitalismo tecnologicista è stato l'idea che qualsiasi problema umano potesse essere risolto - risolto una volta per tutte e velocemente - da una macchina o, comunque, dalla scienza. "C'è un'App per tutto" fu lo slogan di riferimento (una App che ti viene venduta, ovviamente).

   In pratica si tratta di un modello che si basa sul sistema binario problema/soluzione, un modello piuttosto semplificatorio se raffrontato alla complessità umana. Qualcosa, paradossalmente, di molto poco moderno e che sembra avere a che fare più con la credulità e la pacificazione interiore a cui spingono la superstizione, o le religioni [Nella foto: Lino Banfi in una scena di Occhio, malocchio prezzemolo e finocchio].

   Questo spiega, secondo me, l'investimento economico, psicologico e sentimentale che abbiamo fatto nei vaccini. I vaccini sono esattamente "the App for that", cioè una soluzione tecnologica definitiva e veloce a un problema. Una soluzione che, però, ora possiamo dirlo, mostra molte lacune.

   Attenzione. Il problema non sono i vaccini in quanto tali. I vaccini sono stati decisivi per mettere una pezza a una situazione di emergenza, ma, se dopo 6 (o addirittura 4) mesi l'efficacia della copertura crolla, è chiaro che non siamo di fronte alla soluzione definitiva che ci era stata promessa, per la quale, verosimilmente, ci vorranno ancora alcuni anni.

   Sulla base del credo tecnologico, estenuati dal dover strizzare i nostri sfinteri emotivi, ci siamo vaccinati, siamo andati in vacanza e, in una reazione umana ma per molti aspetti anche macchinale, abbiamo detto: «Oh, mò basta, finalmente è finita per sempre».

   E poi viene fuori che non è finita per sempre.

   Per inseguire la soluzione definitiva, abbiamo trascurato, credo, una serie di ricerche per così dire intermedie, che si sarebbero rivelate fondamentali.

   Quasi da subito si è smesso di parlare di come si trasmette il virus, ad esempio, un tema apparentemente secondario quando l’epidemia ormai galoppa, ma in realtà decisivo. A quasi due anni dal dicembre 2019 siamo ancora al mantra distanze-mani-mascherina. Approfondire di più la questione e informare la popolazione dei risultati avrebbe forse portato a comportamenti più adeguati e frenato i contagi.

   Ancora: studi riguardo la sopravvivenza del virus sulle superfici, altro argomento fondamentale per la prevenzione e mai davvero chiarito. Ancora: studiare l'influenza del ricircolo dell'aria condizionata sulla diffusione dell'infezione negli ospedali e nei grandi spazi. Ancora: ricerche sui medicinali per curare chi è già ammalato. E si potrebbe continuare.

   A volte -  o forse oggi sempre più spesso – modelli teorici sviluppati da piccole élites incidono sulle vite di miliardi di persone.

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Binari e gamba (originariamente pubblicato il 14/9/2021)

Sabato una persona ha cercato di uccidersi gettandosi sui binari della M1 alla fermata di Palestro [nella foto], Milano. In quel momento ero quattrocento metri indietro, a San Babila, appena salito sul mio convoglio destinazione casa.

Una voce, perfettamente intatta, ha detto che dovevamo uscire e che la linea era ferma fino a piazzale Loreto per un tentativo di suicidio, il che era corretto sul piano fattuale.

   Così, mentre una donna, quattrocento metri in là, perdeva una gamba, alcune centinaia di persone uscivano in superficie, tutto sommato infastidite.

   Si creava una colonna - una migrazione poco tragica, una cosa che si può fare sbuffando - verso il quadrante nord della città. Gli sguardi si incrociavano, si comunicavano ritardi gridati nei telefoni.

   E chi siamo, qui a marciare lungo la direttrice corso Venezia, corso Buenos Aires, viale Monza? Siamo turisti stranieri straniti. Siamo anoressiche tatuate sullo sterno. Siamo tamarri a caccia. Siamo professionisti del settore moda. Siamo campioni dell'esibizionismo omo. Siamo una vecchia col cagnolino e l'abbronzatura. Siamo una donna russa col figlio piccolo. Siamo uno scrittore di scarse pretese alla fine di un pomeriggio speso un po' così.

   È strano il contorno. Le strade sono piene di polizia. Il blu dei lampeggianti che si riflette sui vetri dei palazzi mi ha sempre messo angoscia. Come i cellulari con le griglie ai vetri. Lungo corso Buenos Aires questa tensione la percepisco anche negli altri, e allora cammino più veloce, e dopo me ne vergogno.

   La gente prende d'assalto i vigili: "Ehi, perché 'sta metro non funziona?!", ma i vigili rispondono distratti, guardano altrove, guardano più avanti.

   La polizia si infittisce, le camionette chiudono le vie laterali. Ah, ecco. C'è un corteo fra piazza Lima e piazzale Loreto.

   Collochiamo tale corteo. Collochiamolo sulla base della lettura delle labbra dei passanti: NO VAX NO VAX NO VAX.

   Quindi va a finire che mi ci ritrovo in mezzo; alla fine mi interessa pure dare un'occhiata. Leggo i cartelli e scambio alcune battute coi manifestanti.

   È una marcia molto seria. Cioè molto arrabbiata, e anche piuttosto partecipata. Con parole d'ordine precise e richieste davvero specifiche, chirurgiche, rispetto a quelle che si sentono nelle manifestazioni di solito. A dire il vero non è nemmeno una manifestazione No Vax. È più No Green Pass, o a favore della medicina di prossimità, o altre cose appena diverse. E non vedo fasci o tifosi di Salvini, o sostenitori delle scie chimiche. Sembrano gente incollocabile, quella che la storiografia ha definito Zona Grigia, o autonomi un po' appassiti, o mamme alternative con le tettone e i figli vestiti di abiti sgargianti, c'è una ragazza che sventola la bandiera delle Brigate Garibaldi.

   Il corteo sfila al grido di "Libertà". I passanti, olio su acqua, transitano sopra i marciapiedi che corrono di fianco senza mescolarsi, scuotono la testa e sorridono, fanno video, si mettono in posa per la storia di Instagram. Un bambino - avrà 12 anni - ride a favore di camera e indica alle spalle col pollice: "E cosa c'è di meglio di un bel corteo No Vax?", dice con un sarcasmo dodicenne da Bim Bum Bam. Poi, molto professionale, si mette a lavorare sui filtri prima di postare.

   Si tratta di una rappresentazione plastica e simbolica. Non c'è vero scontro fra gli schieramenti. C'è solo l'esibizione di una battaglia che non arriva. Ma l'odio che si genera è vero, e scava dentro.

   Ovvio, non c'è neppure un incontro. O un confronto.

   A ben vedere le parti in causa non sarebbero nemmeno le due tanto strombazzate, Vax-No Vax (e nelle opinioni dei due estremi, quelle purtroppo più rappresentate, sussistono incongruenze logiche imbarazzanti).

   C'è una miriade di sfumature sul campo, ovviamente escluse dal dibattito pubblico, perché l'implosione del pensiero complesso ci impedisce di riconoscerle, e tutto si riduce a un manicheismo stupidino, che ti fa sentire bene perché, chiuso nella tua verità, senti di essere il Bene.

   Ridotti a un gioco di luci, giorno/notte, Milan/Inter, figa/cazzo, acceso/spento, veglia/sonno, su quei binari e sotto quelle ruote ci finiamo insieme. L'osso triturato è il nostro, ci appartiene quella coscia monca, sulle traversine di Palestro che potrebbero essere ovunque nell'universo.

   Con quelli fuori della nostra bolla di verità a un certo punto ci dovremo parlare, perché votano quando votiamo noi, perché vanno al nostro supermercato, perché possono essere nostri amici, o i nostri genitori, o la donna che amiamo.

   In prospettiva, non è intelligente mandare la Celere contro uno che dovrà starti a fianco. O deriderlo. O minacciare TSO.

   Alla fine mi sono inabissato in metropolitana a Loreto. Alcune decine di metri prima, una flotta di riders stazionava davanti al McDonald's. Perché mentre noi siamo fermi nelle bolle, c'è un  meccanismo che gira, che ci nutre e che si nutre di noi.

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L'Idra (aggiornamento del 10/11/2021)

Parte tutto dall’Hydra Vulgaris, una bestiola di alcuni millimetri di grandezza. Questo animale è in grado di rigenerare parti di sé e secondo certe teorie sarebbe immortale.

   Una delle più recenti elaborazioni complottistiche stabilisce che all’interno dei vaccini anti-Covid ci sarebbe, oltre a nanotecnologie non meglio precisate, anche un surrogato di questo mostriciattolo, che quindi verrebbe iniettato.

   Sono spesso articoli in inglese a rilanciare la notizia, diffusi poi in altre lingue grazie a traduttori automatici, anche con effetti comici: «Crede [il soggetto non è chiaro] che le persone vengano iniettate attraverso i colpi di COVID con “idra transgenica”, che descrive come un organismo con il DNA di un altro organismo incorporato in esso».

   Tale creaturina immortale dovrebbe rendere immortali anche noi, o comunque cambiare il nostro patrimonio genetico in modi che ancora fatichiamo a immaginare. Non è chiaro chi abbia dato inizio alla macchinazione. I transumanisti, si vocifera. Ma chi sono esattamente? E perché una lobby elitista dovrebbe preoccuparsi dell’immortalità dell’intera razza umana? È un grande esperimento sulla pelle di ignari cittadini?

   Il generico “Loro” si sarebbe dato un limite temporale per realizzare il progetto: il 2030. L’anno corrisponde ad Agenda 2030, il programma ONU per lo sviluppo sostenibile. Come spesso accade, le teorie del complotto vengono integrate con elementi reali che da un lato le rendono più verosimili, dall’altro invitano, come in un grande gioco di società, le menti più impressionabili a cercare ulteriori conferme, contribuendo all’edificazione e all’espansione della teoria del complotto.

Come accadde per l’epica classica (vedi le teorie di Milman Parry), probabilmente la leggenda si ingigantirà e  verrà interpolata da successivi interventi di nuovi “aedi” nei prossimi mesi. In effetti, forse non è un caso che proprio un mostro mitologico, appunto l’Idra, sia al centro di questa una nuova “saga”.

 

   Intendiamoci, i complotti esistono. La Storia è una manifestazione complessa che include grandi fenomeni di massa e pulsioni individuali. Va dall’implosione di modelli culturali secolari, alla nascita di nuovi apparati statali, a rivoluzioni collettive e personali, sino a Ciprian Tătărușanu che para un rigore nel derby di Milano.

Tutto sta nella Storia. Anche i complotti. Ciò che è impossibile è che tutta la Storia sia un complotto.

 

   A me interessa poco indagare i meccanismi della cospirazione, anche se è utile. Mi sembra più interessante capire perché tante persone seguono queste teorie, anche a fronte di una palese falsità.

La risposta, semplificando, è: per credere in qualcosa.

   Gli ultimi trent’anni hanno segnato una deideologizzazione generalizzata. Dopo i grandi disegni ideologici collettivi del ’900, c’è stata la regressione nell’individuo. Ideologia è diventato un termine negativo, sinonimo di estremismo, violenza, prevaricazione; quando invece – restiamo al vocabolario – l’ideologia è un modello sistematico di pensiero volto alla modificazione della realtà. Punto.

   Tante ideologie diverse hanno garantito per decenni una direzione a miliardi di vite. Miliardi di persone hanno agito con obiettivi che spesso travalicavano i limiti della loro stessa vita. Ciò le ha collocate nella Storia, dando loro al contempo forza e un senso superiore. Ad esempio, sei comunista: lotti tutta la vita per la rivoluzione. Oppure sei liberal-liberista: difendi per tutta la vita la proprietà privata e le prerogative individuali perché credi che siano il viatico per una società migliore.

   L’ideologia ti assegna un piccolo ma specifico ruolo nello spettacolo della Storia. E la possibilità di lasciare un segno nel mondo. Questo ti pacifica.

 

   Oggi, venute meno le radici ideologiche, è l’albero dell’individuo a disseccarsi. Milioni di individui galleggiano senza avere uno scopo finale, che pure desiderano. Come ha scritto Aldo Giannuli alcuni anni fa, queste persone «abitano in un tempo illusorio, non hanno spessore storico, sono prive di senso della realtà e, perciò, enormemente più fragili».*

In fondo le teorie del complotto creano un ordine superiore. Qualcosa che sta sopra e che, dovendo essere combattuto in quanto malvagio, tutto sommato può dare uno scopo alla vita di chi dentro sente solo il vuoto. Da questo punto di vista, se è legittimo prendere per il culo tali teorie, non lo è deridere chi, per vari motivi, finisce col crederci. Perché dietro c’è un dolore, una mutilazione.

 

   Non mi sembra un caso che le teorie del complotto attecchiscano di più nelle generazioni mature, rispetto a quelle giovani. Chi è più grande ha respirato un mondo fortemente polarizzato per tutta la vita, e lo sgretolamento delle ideologie gli ha provocato uno shock pneumatico: d’improvviso ti manca l’ossigeno, come fosse deflagrata una bomba termobarica; allora devi crearti nuovo ossigeno. I più giovani, invece, sono già nati in una società a bassa intensità ideologica, hanno sofferto meno il passaggio e sono poco interessati a grandi disegni superiori. Veri o falsi che siano.

*L'articolo di Aldo è disponibile QUI. È una riflessione molto più ampia e interessante della semplice frase estrapolata. Ne consiglio la lettura.

Chiusure e ripartenze, 9/8/2022

Devo delle scuse ai lettori, mi sono inabissato per una lunga fase di lavoro e non ho potuto scrivere per il sito. Non che abbia smesso di seguire, ad esempio, quello che succedeva in Ucraina, come in maniera sconcertante ha fatto dal centesimo giorno di guerra la stampa italiana. Semplicemente, davvero, non ce la facevo.
   La guerra sonnecchia e continua. Noi facciamo altri sogni, nel più tipico processo di rimozione. Ma la biglia rotola e la guerra globale arriverà, forse spacchettata e distribuita in giro per il mondo, magari alle periferie degli imperi in conflitto, sperando che si noti meno.
   Per quel che conta l’opinione di uno scrittore, ho continuato, e continuo, a esprimere la mia contrarietà verso qualsiasi coinvolgimento del mio paese. L’ho fatto qui, e
sulla stampa quando mi è stato possibile. Il silenzio sul tema della quasi totalità degli autori ed intellettuali italiani (anche “d’area”, della sinistra “de sinistra”, di ambito anarco-autonomista, movimentista, etc etc, insomma dalla gente che un po’ ti aspetteresti), resta una pagina nera della storia culturale italiana. Anche peggio della piatta replica degli input governativi messa in atto dagli scrittori che dovevano coltivare la propria rendita di posizione all’interno del sistema editoriale.
   Ho scritto spesso di Ucraina, ben prima del 2022, e non solo in interventi volanti. Il terzo romanzo del commissario Valtorta, steso fra l’agosto del ’18 e il marzo del ’20, affonda le radici per buona parte negli eventi ucraini post-Maidan. Il titolo provvisorio (letto ora, piuttosto profetico) è Blues per la fine del mondo; è stato acquisito per diventare, insieme a Nel fuoco si fanno gli uomini e al secondo capitolo del trittico, una trilogia in audiolibro.
   
   La strategia dei semplici post in diretta, scelta per raccontare il momento, è superata. Probabilmente c’è bisogno di qualcosa di più strutturato e profondo. Siamo in mezzo a un cambiamento epocale, che passa anche dagli anni di pandemia, e che ridisegnerà confini, culture, e le nostre psicologie individuali.
   Perciò, quanto a Ucraina o Covid, questo sarà l’ultimo intervento sotto forma di post, e, siccome guerra e pandemia sono diventate facce della medesima medaglia, chiuderà con-temporaneamente À la guerre comme à la guerre e
Il buco, lo spazio di riflessione aperto sugli anni virali, al quale i lettori hanno partecipato con messaggi via mail e commenti.

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