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28/5/2020

MAPPARE LE NUVOLE (TERZA PARTE)

Segue dalla SECONDA PARTE

 

Scacco alla scienza

Stampa e politica non sono le uniche realtà che il virus ha messo in crisi. La scienza e la medicina hanno lanciato messaggi contraddittori.

   Alcuni esempi:

   1- La dinamica del contagio: Ci si ammala con il droplet, cioè gli sputazzi/No, basta l’aerosol/Ah, quello studio finlandese, da un colpo di tosse ti si infetta tutto un supermercato/Ah, quello studio giapponese, in una stanza chiusa le particelle di saliva galleggiano per due ore/Ehi, l’aerosol contagia solo se le particelle sono grandi.

   2- La dinamica del contagio #2: Gli asintomatici non contagiano/Gli asintomatici sono fondamentali nella diffusione della malattia.

   3- I bambini: Sono immuni e non infettano/Sono untori.

   4- Le mascherine: Sono fondamentali/Non servono a una cippa/Il popolo bue e fesso non sa usarle, si toccaccia il viso in continuazione, quindi le mascherine sono dannose/Servono al chiuso/Servono solo ai contagiati/Ehi, ma come si fa a sapere se uno è contagiato o no, meglio metterle tutti e buonanotte.

   5- Le distanze: Basta un metro/No, due metri/No, un metro e ottantadue/Eh, e come la mettiamo col caso di studio cinese in cui il tizio nel pullman ha infettato gente a 9 metri?

 

   La scienza offre verità fino a prova contraria, il che vuol dire che non offre verità. Al massimo teorie, tentativi. È così da sempre.

   Sono quasi sei mesi che sappiamo dell’esistenza del Coronavirus. Ancora si discute su come avvenga il contagio.

   Chiunque abbia voluto sostenere qualcosa di definitivo, è stato smentito. Il virus ha scherzato con gli scienziati, li ha umiliati.

   Nell’ultimo decennio siamo stati bombardati dalla propaganda del paradigma scientifico e tecnologico. Ci hanno obbligati a venerare i grandi imprenditori del settore Hi-Tech. Gli scienziati sono diventati semidei infallibili. La scienza e la tecnologia avrebbero risolto tutti i nostri problemi. E velocemente. Il tempo di un clic, il tempo di installare una app.

   Oggi ci svegliamo e scopriamo che non è così. Un decennio si è sgretolato in poche settimane.

   Ovvio: ricerca scientifica e medica sono fondamentali. Ma la ricerca ha bisogno di tempo e non può rispondere nell’immediato. Durante la ricerca si possono commettere errori. Fra gli scienziati ci sono quelli bravi e quelli meno bravi. Fra di loro c’è una percentuale di coglioni, come nelle altre categorie.

   Fra di loro, come in altre categorie, ci sono i narcisisti. Trovare una cura oggi significa prenotarsi un posto sui libri di storia.

   E allora:

   Corri.

   Parla prima degli altri.

   Parla senza essere sicuro

   Lì c’è una telecamera.

   Esponiti.

Nazi-Tech

Nei prossimi mesi si svolgerà un dibattito culturale globale, in parte già iniziato. Quello del rapporto fra scienza e politica.

   Uno scienziato – o divulgatore scientifico, non so – ha asserito su un canale della televisione pubblica italiana che il tutoraggio della scienza nei confronti della politica che abbiamo sperimentato in questi mesi dovrebbe continuare anche dopo la pandemia, perché i politici sono inadeguati e, cito, «hanno tutti una cultura umanistica». Anzi: gli scienziati e i tecnici dovrebbero sostituire chi governa, per meriti sul campo.

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   Si propone l’idea di uno spillover, un salto di specie: gli scienziati abbandonano la propria nicchia naturale di tecnici per diventare governanti a tutti gli effetti. Alla luce dei balbettii, delle contraddizioni e dei fallimenti della comunità scientifica in questi mesi, è come se una squadra di calcio perdesse la finale di coppa, ma pretendesse lo stesso di alzare il trofeo.

   Il giudizio sulla classe politica mondiale è, forse, in parte condivisibile. Le conclusioni sono nazismo puro.

   La sostituzione politici/scienziati deve avvenire democraticamente? Eleggiamo scienziati e tecnici? Come facciamo a eleggerli se non abbiamo conoscenze specifiche per giudicarli? Vale il curriculum, il merito? Il merito chi lo valuta? Decide un cenacolo di accademici? Un tecnico è davvero super partes? E se fosse legato per questioni professionali a, diciamo, una multinazionale sarebbe davvero autonomo? L’essere super partes, senza colore politico, è una qualità desiderabile per chi ha responsabilità di governo? E si potrebbe continuare.

 

   Il presupposto del ragionamento dello scienziato, o divulgatore scientifico, è che la scienza e la tecnica siano imparziali per definizione. E quindi scelgano sempre per il meglio.

   Non è così.

   Soprattutto in certi paesi, l’accesso alle conoscenze scientifiche comporta studi costosi. Spesso tali studi sono consentiti solo ai ricchi, o ai figli dei ricchi. C’è una questione di classe.

   Lo scienziato, o divulgatore scientifico, sogna un mondo dove una élite di ricchi tecnicamente qualificati decide per miliardi di uomini, li manovra e dirige con gesti asettici, come farebbe con delle cavie.

   È l’idea del confinamento sociale che si estende alla democrazia: statevene in casa e non rompete le palle, qui fuori ci pensiamo noi.

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   Questa gente, sul piano culturale, deve essere demolita. I libri sono buoni picconi.

   Mi permetto di consigliarne uno: La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia (1975). È uno di quei libretti brevi e strani che ogni tanto Sciascia ha scritto, e parla della sparizione del geniale fisico Ettore Majorana, nel 1938. Sintetizzando: Majorana compie ricerche che possono portare alla bomba atomica/Ne intuisce le implicazioni tragiche/Per non essere complice di un massacro decide di scomparire.

   È un’opera che mette in discussione il paradigma positivista della scienza. La scienza non è sempre buona e incolore. Ed è un’opera sul rapporto fra scienza e morale e su come un singolo decida di cancellare la propria genialità e la gloria potenziale per fare il bene.

   Una lezione di libertà valida oggi, ma soprattutto domani e dopodomani.

 

La lotta

Forse uno sceneggiatore o uno scrittore non sarebbero riusciti a immaginare una storia come questa.

   Un’entità microscopica manda in cortocircuito la modernità. L’apparato informativo, il potere politico, l’economia, le relazioni fra Stati, la comunità scientifica, la psiche di miliardi di esseri umani, i rapporti interpersonali.

   Il virus abbatte i confini e innalza barriere fra gli individui, li mette in competizione per la sopravvivenza. C’è un parallelismo evidente con il sistema economico che la gran parte del mondo utilizza.

   In un occidente in cui trionfa il capitalismo senza freni, e in cui questo spirito si trasferisce dall'economia alla biologia attraverso inquietanti esperimenti transumanisti di vita eterna, la pandemia fa irrompere nel nostro quotidiano l'idea di morte che avevamo scordato, e ciò ci precipita, collettivamente, nello stato d'infanzia.

   La modernità e la fiducia cieca nel progresso ci avevano disabituati al senso del limite, e quale limite più evidente della morte?

 

   C'è un paradosso.

   Accettiamo spesso un lavoro che ci annienta. Accettiamo di trascurare le persone a cui vogliamo bene. Accettiamo la subordinazione economica. Accettiamo lo sfruttamento. Accettiamo voragini nelle nostre democrazie. Accettiamo il conformismo culturale. Accettiamo di essere trattati come un gregge, in quanto collettività, e come bambini idioti, in quanto individui.

   Accettiamo, cioè, di vivere una vita parziale e non libera. Sgravata dal peso e dalla responsabilità della lotta.

   Però non vogliamo morire. La morte ci terrorizza. La morte è un tabù. Ci disgustano i corpi dei morti. Non vogliamo che succeda a noi.

 

   Mi capita – non troppo spesso, per fortuna – di vivere quelle che io chiamo accelerazioni. Sono a letto, al buio, le luci appena spente, è tutto nero. Improvvisamente il mio cervello accelera, mi trasporta fino all’istante prima di morire, so che sta per succedere. Non puoi scappare. È così che funziona. È il momento del passaggio. Cosa succederà adesso?

   I battiti aumentano, il respiro si spezza. La vampa dura pochi secondi. Il sudore si asciuga. È solo un arrivederci, lo so.

   Succede a molti, non è sbagliato. Il panico scema e diventa determinazione. Non sbatterò più il mio tempo nel cesso. Farò di più e vivrò di più.

   Poi l’inondazione si ritira. Tutto torna normale.

 

   C’è una frase di Cuore di tenebra che mi ha sempre colpito: «Forse tutta la saggezza, e tutta la verità, e tutta la sincerità, sono proprio condensate in quell’impercettibile frazione di tempo in cui oltrepassiamo la soglia dell’invisibile».

   Il virus ci ha fatti accelerare. Ci ha sbattuto in faccia la prospettiva della morte. Lo ha fatto a noi come individui e a noi come comunità. Viviamo, e vivremo nei prossimi mesi, in sella al momento del passaggio.

   Sarebbe bello che, alla fine, qualsiasi cosa succeda, il nostro panico diventasse determinazione. Sarebbe bello se scoprissimo di poter esistere in un modo nuovo. Ovvero lottando per la nostra vita, sempre.

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