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Sacchi, segretario della Fiom, lo ghermisce: «Tu devi scrivere un libro, un romanzo su questo sciopero…». Il capannello si forma subito. «Ma io», dice Bianciardi, «ho scritto sui minatori perché li conosco fin da bambino. Il libro sugli operai bisogna scriverlo, deve farlo uno di voi».

Questa storia inizia in un archivio speciale di una città particolare. È il 2012 quando Ivan Brentari spulcia faldoni all’Archivio del lavoro di Sesto S. Giovanni, la “Stalingrado” d’Italia. Tra le scartoffie, spunta una risma di carta velina. Comincia a leggere e… no, non sono comunicati stampa o verbali di assemblee. Sono racconti, scritti da metalmeccanici, per un concorso della Fiom di Milano. Indetto nel 1963, al termine di un triennio di lotte, le prime vittorie dei lavoratori dopo la Liberazione. Racconti mai pubblicati, rimasti nella polvere per cinquant’anni, nonostante una giuria composta da Umberto Eco, Franco Fortini, Giovanni Arpino e Luciano Bianciardi.

   Ivan pensa che di racconti del genere ce ne sarebbe ancora bisogno: scritti dagli operai, senza filtri da giornalisti e false rappresentazioni. Nasce così il collettivo MetalMente, grazie a un laboratorio narrativo animato da Wu Ming 2 e da un gruppo di lavoratori iscritti alla Fiom. Ma a differenza del 1963, la scrittura è collaborativa, a più mani, per reagire a un mondo del lavoro così frammentato e precario da creare solitudine.

   Ne risulta un libro intessuto come una treccia. Tre filoni che si alternano tra di loro, disvelando vicende vere e di fantasia. Uomini, tempi e narrazioni saltano gli uni dentro agli altri, si mescolano, si confondono. Ci sono i racconti del ’63 - compreso quello di Bianciardi, da cui nacque l’idea del concorso, - quelli collettivi del 2015 e le infrastorie di entrambe le epoche, scritte impastando documenti originali, dialoghi, aneddoti e testimonianze.

   Il risultato è un appassionante romanzo storico ipercollettivo, che racconta, dal punto di vista dei metalmeccanici, la trasformazione del mondo del lavoro.

«Gli operai raccontano se stessi con una consapevolezza forse perfino maggiore che nei mitici anni Sessanta.» (l'Unità)

«Le storie di oggi parlano di un lavoro sulla difensiva, ma narrano anche una continuità tra generazioni che vive nel racconto e nel racconto resiste.» (il manifesto)

«Non un'antologia, non una raccolta di racconti, ma un intreccio che ripropone due epoche storiche messe allo specchio.» (Repubblica)

«L’unità e la direzione di questo libro sono solidissimi, e l’obiettivo davvero elevato: e cioè la risposta alla domanda ‘ma davvero il lavoro è finito?’. Grazie all’interesse feroce che questo libro solleva, sappiamo che la risposta è no.» (Carmillaonline)

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