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12/3/2017

COSA È MECCANOSCRITTO, DA DOVE VIENE E DOVE VA

 

Quando nel 1935, ai primi di dicembre, Milman Parry muore, è considerato uno dei più importanti filologi classici della sua epoca. È a Los Angeles nella casa di sua suocera, sta disfacendo la valigia, ma tra la biancheria c’è anche il revolver. Parte un colpo accidentale. Sua moglie entra nella stanza, lo vede a terra e gli prende la testa fra le mani, piange disperata. La corsa dell’ambulanza è vana. Parry muore dissanguato. Ha 33 anni.

   «Uno dei più promettenti e brillanti studiosi d’America», dichiareranno i suoi colleghi al The Harvard Crimson. Laureato a Berkeley, specializzato alla Sorbona, Parry finisce per insegnare proprio ad Harvard, giovanissimo. Ma a dire il vero in università non c’è quasi mai. Passa la maggior parte del tempo tra Parigi, dove nel 1928 nasce suo figlio, e la Serbia, dove sta portando avanti alcuni studi. Studi che rivoluzioneranno decenni di sterili ricerche filologiche sui testi omerici.

   Nei Balcani ci sono dei cantastorie. Tramandano oralmente da secoli antichissime e interminabili ballate e lo fanno attraverso una specifica mnemotecnica che consiste nel ripetere gli epiteti riferiti ai personaggi, i nessi formulari, o interi versi. Creare degli appigli che consentano alla memoria di orientarsi in un mare di parole che nessuno ha mai messo per iscritto.

   Parry, assieme al fido assistente Albert Lord, registra e sbobina queste storie. Trova una connessione con l’Iliade e l’Odissea. Anche i poemi omerici hanno una struttura simile, sono pieni di ripetizioni e richiami. La teoria di Parry, in breve: l’epos omerico ha un’origine esclusivamente orale, è frutto di una stratificazione durata secoli e del contributo di migliaia di aedi – di cantastorie –, che davanti ai pubblici che si sono susseguiti hanno recitato i poemi aggiungendo, togliendo, limando, rielaborando le storie che avevano sentito dagli anziani, fino a formare quel nucleo che poi avrebbe trovato una codificazione scritta solo nel VI secolo a.c., con l’edizione “nazionale” del tiranno Pisistrato.

   In pratica, Omero non è mai esistito (ma questo l’avevano già detto in molti) e i poemi omerici sono opere collettive tre volte. Uno: per formazione, in quanto hanno richiesto il contributo di generazioni intere di aedi. Due: per fruizione, perché i testi venivano recitati pubblicamente davanti a un pubblico numeroso. Tre: per contenuto, dal momento che Iliade e Odissea erano formidabili manuali di comportamento sociale indirizzati alla collettività, allo scopo di educarla: come si muove guerra a un altro popolo? Come ci si relaziona coi morti e con la Morte? Cosa è degno e cosa indegno nel rapporto tra un uomo e una donna?

   I poemi omerici, secondo Parry, sono quindi l’opera di una comunità, di un popolo che si autorappresenta. E che nel farlo cerca di capire se stesso e vedere quali sono le sue prospettive per il futuro. Qualcosa che dà alla letteratura un potere, un’anima popolare, che va oltre lo stile, l’intreccio della trama, il contenuto morale.

 

 

 

 

   Quando con Wu Ming 2 e il Collettivo MetalMente abbiamo cominciato a lavorare su Meccanoscritto non avevamo in mente nulla di tutto ciò. Certo, sapevamo che c’era una comunità, quella dei lavoratori metalmeccanici della Fiom, che voleva raccontarsi, analizzarsi, e anche comprendersi, al di là degli stereotipi della falsa rappresentazione fatta da terzi. Ma non sapevamo bene come fare.

   È accaduto tutto in maniera naturale. Ma natura non significa semplicità. Sono cominciati confronti e discussioni interminabili. A voce, chiaramente, proprio perché la comunicazione orale è sempre collettiva, come ai tempi degli aedi, e come sarà nei prossimi millenni. «In che modo la diciamo questa cosa?». «No, così non si capisce dove vogliamo andare a parare». «Guarda che non hai capito proprio un cazzo: quella parola serve a far comprendere meglio».

   Ci sono voluti mesi, anni di lavoro per tracciare un sentiero che attraversasse la Storia Operaia e le storie operaie, e che sapesse trasferire su carta quello che avevamo nella testa. Per creare qualcosa di davvero collettivo. Meccanoscritto è diventato un’autoanalisi, una confessione di classe, una riflessione storiografica e sociologica, ma anche, ed è fondamentale, un piano di battaglia per il futuro. È un flusso narrativo che dipinge il ritratto non mediato di una categoria della quale si parla molto poco, tanto che molti pensano non esista. Per quanto ne so, non credo che un libro del genere sia mai stato fatto.

   Adesso che Meccanoscritto esce nelle librerie, proviamo – o perlomeno io provo – gioia, forse anche un senso di liberazione. A questo libro vogliamo tutti bene.

   ¡Que viva Meccanoscritto!

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